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Femmes fatales all’Opera

di Vittoria Crespi Morbio
Testi: Vittoria Crespi Morbio, Carmen in pelliccia; Quirino Principe, Distruttrici distrutte, André Tubeuf, «Fatales», ma per chi?.
Apparati: Andrea Vitalini, Cronologia degli spettacoli alla Scala.
Collana «Sette Dicembre».
Umberto Allemandi&C / Amici della Scala,  Torino 2009.
Edizione italiana e inglese, pp.212

La belle dame sans merci secondo il verso di Keats, la seduttrice che fa impazzire gli uomini e lentamente li conduce alla rovina, è uno dei miti della cultura moderna che ha attraversato la letteratura, il teatro, le arti figurative, il cinema. Nell’opera lirica, la femme fatale è un archetipo che va dalle maghe delle fantasmagorie antiche come Alcina e Armida, fino a Carmen, a Salome e alla più rappresentativa di tutte, Lulu, che avvolge nelle proprie spire gli uomini che incontra fino a soccombere ella stessa sotto la lama di Kack lo Squartatore. Una meticolosa ricerca di profili delle grandi interpreti, condotta presso i più famosi teatri d’opera del mondo, ha radunato in questo libro le più belle immagini sulle incantatrici in musica, che non finiscono di effondere fascino e veleno, bellezza e perdizione, sopra tutti coloro che sono destinate ad amarle. Nelle dodici sezioni presenti nel volume (Carmen di Bizet; Conchita di Zandonai; Alcina di Händel; Armida di Gluck Rossini; Manon di Massenet; Manon Lescaut di Puccini; Salome di Strauss; Sansone e Dalila di Saint-Saëns; Thaïs di Massenet; L’Affare Makropulos di Janáček; Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Šostakovič; Lulu di Berg) dive del passato e interpreti del presente si confrontano in una varietà di stili, mode e portamenti. In Carmen, la modernità interpretativa della bostoniana Geraldine Farrar, diretta da Toscanini al Metropolitan Opera nel 1914 assieme a Caruso, è documentata nel libro anche dai fotogrammi del film muto di Cecil B.DeMille (1915). Rosa Ponselle farà scalpore per la sua crudezza tanto da essere definita dalla critica ‘volgare’ (New York, Metropolitan Opera, 1935). Emmy Destinn incide la prima edizione integrale in lingua tedesca (Gramophone Orchestra di Berlino, 1908), mentre Maria Jeritza, dallo sguardo ceruleo, conquista la platea di New York per una ‘veritiera caratterizzazione del ruolo’(‘New York Review’, 1928). In totale identificazione con la protagonista di Bizet, l'elegantissima Teresa Berganza si affida alle proprie origini gitane e andaluse. Nell’Armida di Rossini una Maria Callas ancora troppo in carne indossa il costume disegnato da Alberto Savinio (15° Maggio Musicale Fiorentino, 1952); di contro Renée Fleming sfoggia la silhouette avvolta nell’abito celeste di Vera Marzot (Rossini Opera Festival 1993. Pesaro, Teatro Rossini). L’immagine più inquietante pervenutaci di Alcina è la presenza di Fanny Cleve, la maga dallo sguardo di fuoco sullo sfondo di una tela di ragno ripresa in occasione dell’allestimento del Neues Theater di Lipsia nel 1928. Per la messa in scena spoletina della Manon Lescaut di Puccini, Luchino Visconti si appella a Piero Tosi e affida alle morbide trine la conturbante lolita Nancy Shade (1973). Rosetta Pampanini, Clara Petrella,Raina Kabaivanska, Renata Scotto, Mirella Freni, Leontyne Price, Renata Tebaldi, rappresentano le infinite sfaccettature del medesimo personaggio. Nella Manon di Massenet, Anna Netrebko si trasfigura in una novella Marilyn Monroe, omaggio al cinema degli anni Cinquanta (Berlino, Staatsoper, 2007). Gemma Bellincioni, diretta da Richard Strauss al Regio di Torino, e Salomea Krusceniski, guidata da Arturo Toscanini al Teatro alla Scala, si contendono lo scettro di Salome nel dicembre del 1906. Per il critico del Teatro Illustrato (febbraio 1907), “Torino vince Milano perché ha la Bellincioni. Una meraviglia di bellezza scenica. Lo Strauss l’ha chiamata ‘insuperabile e indimenticabile’ La danza lunghissima e per se stessa snervante da essa affrontata con giovanile provocazione, non toglie una vibrazione allo scatto incisivo della cantante”. Di contro, per il medesimo critico, la Krusceniski mostra ‘una maggiore misura, certa rigida austerità di linea’. Mary Garden prende lezioni di danza all’Opéra di Parigi e conquista la critica: “ha tenuto a danzare o a mimare essa stessa la danza dei sette veli sino alla scena finale in cui il realismo raggiunge la più pungente asprezza dolorosa” (‘Le Théâtre’, 1910). In occasione della prima rappresentazione americana, Olive Fremstad dimostra agli americani che la ribelle Salome è ‘una donna molto graziosa, meglio ancora, una vera donna’ (così la definirà il critico de ‘Le Théâtre’ (1907). Nella Thais Lina Cavalieri fa riverberare i gioielli sulla carnagione di alabastro (Teatro Lirico di Milano, 1903) e conquista Massenet: “La sua bellezza, il suo mirabile fisico, la sua voce calda e colorita, la sua appassionata recitazione hanno affascinato il pubblico, il quale l’ha elogiata più di quanto non si potesse fare” (dal volume di Franco di Tizio, Lina Cavalieri). Mary Garden cura meticolosamente la propria toeletta: “non vestivo come Cleopatra, che apparteneva a un’epoca precedente” (Mary Garden, Autobiografia). Predilige le perle che meglio si confanno alla ‘grande danzatrice di Alessandria’ e si presenta sul palcoscenico del Manhattan Opera di New York nel 1907 con un attillato abito di seta rosa pallido: una dea apparentemente nuda per la puritana sensibilità dell’epoca. La Lulu di Berg riserva un ampio campionario di illustre vittime-carnefici: lo sguardo seducente di Lydia Stix, prima interprete italiana guidata nella regia da Giorgio Strehler (Venezia, Teatro La Fenice, 1949). In scena è Lulu dalla capigliatura bionda, un’idea della stessa interprete, mentre non si risparmia movenze da acrobata, secondo le dittatoriali indicazioni dell’amato regista. Anja Silja, grande seduttrice pure fuori dal palcoscenico, trasmette piglio da mattatrice (Stoccarda, Staatsoper, 1966); Teresa Stratas rimane la malleabile, fragile, indimenticabile creatura secondo le indicazioni registiche di Patrice Chéreau (prima edizione in tre atti, Parigi, Opéra, 1979). Christine Schäfer accoglie la propria vittima nel proprio manto piumato rosso sangue (Festival di Salisburgo, 1995), o lo seduce con sguardo innocente (ma con i pantaloni in pelle di serpente), porgendogli una mela (Festival di Glyndebourne, 1996).